Slider news

La sostenibilità del chilometro zero

di Fabian Capitanio e Serena Calabrò

Recenti indagini di mercato indicano che durante la quarantena i consumatori italiani hanno acquistato più prodotti Made in Italy e a chilometro zero (+22%). La pandemia sembra anche aver accentuato la sensibilità verso il concetto di rispetto per l’ambiente, che spesso viene identificato con i prodotti a chilometro zero. Chiariamo: lo sviluppo è definito sostenibile quando soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni.

La sostenibilità, concetto complesso, nasce dall’interazione congiunta di tre pilastri (ambiente, economia, società-cultura) integrati dalla componente salutistica e nutrizionale. Il pilastro più evoluto, e maggiormente enfatizzato attualmente è quello ambientale, per cui sul mercato la sostenibilità viene affrontata per lo più con un’accezione ambientale. Il pilastro socio-culturale comprende anche gli aspetti etici e, quello ambientale, aspetti relativi all’agro-biodiversità genetica, naturalistica e paesaggistica.

Un sistema agroalimentare si definisce sostenibile se, attraverso il tempo e le generazioni, si mantiene e si rigenera. Bisogna anche considerare gli impatti delle attività produttive sul territorio, inteso come ambiente e come comunità sulla quale vengono verificate le conseguenze sociali ed economiche di lavoratori, produttori e consumatori. Va chiaramente sottolineato come l’identificazione tra sostenibilità filiera corta/chilometro zero colga aspetti soltanto parziali dell’intero concetto di sostenibilità.

È sempre vero che i prodotti dei farmers' market sono ecologicamente sostenibili? Difficile trovare un modo semplice per quantificare questo impatto, non esiste una risposta univoca. Più un alimento viaggia, più energia consuma, più combustibili fossili brucia, più gas serra emette, quindi, più alto dovrebbe essere l’impatto ambientale. Alcuni studi concludono che un indicatore basato solo sullo spazio percorso non può essere una misura attendibile dell’impatto ambientale totale, per molteplici motivi (es. il 48% dei km per-corsi è attribuibile al compratore: è ecologicamente preferibile acquistare i prodotti in un supermercato centralizzato che non effettuare più spostamenti in negozi piccoli).

La grande distribuzione organizzata, poi, trasporta le merci in modo più efficiente. Il punto nodale, come quasi sempre accade in economia, e nella ricerca in generale, sono le condizioni di partenza, l’oggetto di analisi, le domande di ricerca, i metodi utilizzati e i dati disponibili a determinare il risultato. Il bravo economi-sta, il bravo ricercatore, anticipa i limiti dell’analisi, non si crogiola nella certezza dei risultati ottenuti e prova ad aprire un dibattito.

In quest’ottica, quindi, il chilometro zero è, forse, più un’efficace strategia per valorizzare i prodotti locali, proteggere gli agricoltori dalla compressione dei margini di filiera, generare sviluppo endogeno per le aree interne, piuttosto che per salvaguardare l’ambiente. Non lo escludiamo, ma è un'identificazione più complicata. Se ci pensiamo, il bello e il sale della ricerca è la fatica di cercare ‘verità alternative, smontare certezze e mettere in dubbio realtà precostituite’.

CLICCA QUI PER CONSULTARE I VARI NOTIZIARI